Il freddo pungente, lo fece rabbrividire un’altra volta e, un’altra volta strinse a sé il cappotto di lana scuro, tenendo nella mano congelata, quasi violacea la sua ventiquattr’ore.
«Ci manca solo che si metta a nevicare…» pensò in modo automatico.
Tutto era monotono ed automatico nella sua vita, da parecchio tempo ormai, le stagioni erano tutte uguali per Federico, l’unico cambiamento era quello dovuto, della biancheria del suo armadio.
D’inverno poi, era ancora peggio: di lì a poco darebbe stato Natale.
Un altro Natale, solo, o peggio, contornato da parenti ed amici che facevano a gara per invitarlo alle cene per i giorni di Festa, in modo che non restasse solo…
E poi, c’erano i bambini: sorridenti, giocosi, con i vestiti nuovi, tutti felici, in attesa delle melodie natalizie, delle decorazioni luminose, della neve.
Del Natale.
Negli ultimi tempi lui detestava i bambini, lo disturbavano i loro giochi, le risate spontanee e spensierate, ora li vedeva come burattini legati al sottile filo della loro vita.
Inconsapevoli che all’improvviso qualcuno avrebbe spezzato quel filo e spento i loro sorrisi e i loro occhi, senza un perché…
Rabbrividì, ma non solo per il freddo.
Era accaduto a lui, qualche anno prima: un pneumatico scoppia, l’auto sbanda e finisce contro un albero, all’interno, la sua Luciana e i piccoli Edoardo e Sara.
Tutto era finito, in pochi secondi, proprio contro quella quercia, solida e antica, come il loro amore, dove da ragazzini giocavano a nascondino, o si appoggiavano al tronco per i loro primi baci, rubati ed indiscreti.
Li aveva visti crescere e formare la loro famiglia, quel vecchio albero, lì da sempre, in fondo alla strada, a pochi metri dalla loro casa.
Glieli aveva portati via, e lui era rimasto là, senza un motivo a continuare a chiedersi “perché”. Perché non era successo a lui, che ci rimaneva ancora a fare lì?
Lo chiedeva a sé stesso, a Dio, al suo psichiatra.
Nessuno poteva dargli una risposta.
I primi fiocchi, leggeri, impercettibili, cominciarono a volteggiare nell’aria, senza toccare terra.
Fra qualche giorno sarebbe stato Natale.
Come prevedeva, suo fratello, la sua famiglia e qualche amico comune si stavano organizzando per la Vigilia, e trovò un loro messaggio nella segreteria telefonica.
Avrebbe sorriso, finto di divertirsi, condiviso parte della serata e trovata una scusa là per là, per porre fine al più presto a quella farsa e a quella tortura.
«Ciao Federico, sono Enzo » esclamò la voce con tono brillante « vorrei chiederti un favore…avevo pensato a te per fare Babbo Natale alla Vigilia…passi da me appena puoi per provare il costume? Ciao»
E no! Questo era troppo!
Suo fratello non poteva chiedergli anche quello..
Ci pensò un po’, un bel po’…guardò fuori, in alto.
Il cielo stellato, limpido, il freddo pungente, il pensiero di Luciana e dei bimbi.
Le musiche natalizie incominciarono a diffondersi nell’aria gelida e magica; come un automa chiuse la finestra ed alzò la cornetta:
“Ok Enzo, ci vediamo verso sera per provare il costume, ma non ho molto tempo…” mentì, e riagganciò il ricevitore.
Ne aveva tempo, tanto, troppo, e da troppo tempo aspettava che qualcuno spezzasse quel filo che lo teneva come un burattino, ancora legato alla Terra.
Guardò le stelle e sorrise ai suoi angeli.
Era buio, quando arrivò a casa di Enzo.
Il costume era appoggiato sulla poltrona, pronto per essere indossato, con barba e sacco.
Se lo infilò senza dire una parola, non voleva neanche guardarsi allo specchio.
Lo doveva a suo fratello, era il primo favore che gli chiedeva, e si augurava che quella serata trascorresse il più in fretta possibile.
La prova generale era terminata.
« Meno male » pensò, frettoloso di togliersi di dosso quel costume che lo metteva così a disagio.
Si voltò di scatto e la vide.
Era sopra la mensola del salotto.
Luciana, Edoardo e Sara sorridevano felici, salutando con la mano, in una foto, scattata chissà quando e chissà da chi.
Non se la ricordava, forse era stato Enzo…
Scappò fuori ed incominciò a correre, corse senza respirare, fino alla quercia.
Non si accorse neppure di essere uscito senza cambiarsi, e di indossare ancora quel costume, per lui così ingombrante.
I bambini del quartiere, lo videro da lontano, il loro sogno si era concretizzato a pochi passi da loro.
Incominciarono a chiamarlo: “Babbo Natale!”… “Babbo Natale!…”
Le decorazioni erano accese ovunque, persino i rami più bassi del grande albero, erano stati addobbati con letterine e fiocchetti rossi.
I canti natalizi riempivano l’aria.
Si guardò attorno, tanti bambini, e non solo, lo stavano osservando.
Lui, per la prima volta, li vedeva finalmente liberi da fili invisibili di un destino precario e nefasto.
Alzò gli occhi in alto, fra i lievi fiocchi di neve, un tratto di cielo, si apriva al brillare di un gruppo di stelle che sembravano visi sorridenti e manine che salutavano.
Si toccò gli abiti e si lisciò la lunga barba bianca: «Venite bimbi sedetevi sulle mie ginocchia… come vi chiamate?…cosa vorreste per Natale?…le letterine le leggerò una ad una…» disse con un sorriso, salutando con la mano verso il Cielo.
Daniela Balestrero (Torino, Itália, 1960). Membro del Comitato editoriale della Rivista Philos. Dal 2015 collabora con un giornale locale web scrivendo articoli di spettacolo e attualità. Alcuni dei suoi scritti si possono trovare anche su il Blog di Ramingo.it.
Um comentário sobre ldquo;Babbo Natale nel cuore, da Daniela Balestrero”