La stanza impolverata chiedeva di essere aperta da molto molto tempo, ma Lavinia continuava a rimandare quel momento, fino a quel giorno.
Lo scricchiolio della porta la fece sobbalzare, si era scordata di quel difettuccio che la impauriva fin da ragazzina, la aprì piano piano come se stesse entrando in un luogo segreto, di nascosto.
Di nascosto dalle emozioni dei suoi ricordi.
Era la casa delle vacanze ed era giunto il momento di una rinfrescata, pratica ed affettiva.
Smistando ricordi e oggetti, tra un sospiro e l’altro, scatole e scatoline venivano ora, controllate, scelte e ripulite con cura.
Parecchio sarebbe finito nella spazzatura, altro a qualche ente di beneficenza.
Il più era fatto, ancora uno scatolone ed un baule, poi si sarebbe complimentata con sé stessa per il lavoro svolto.
Il baule decise di tenerlo per ultimo, era il suo preferito, voleva controllarlo con più calma, assaporando ogni chincaglieria il tempo le aveva conservato.
Sul fondo, una scatola di latta decorata con fiorellini rosa e blu, luccicava al sole di quel pomeriggio autunnale.
La raccolse con delicatezza come se avesse paura di romperla, quasi fosse di cristallo.
Un cristallo limpido, trasparente, fragile come i ricordi e le emozioni che racchiudeva.
Le sue mani la strinsero per un attimo, una scossa calda le attraversò la mano bruciandole le dita: davanti ai suoi occhi il viso sofferente di sua madre.
Lasciò cadere la scatola sul letto, chiuse gli occhi, ma il viso di lei continuava a fissarla.
Si guardò le dita, erano arrossate e dolenti.
Cercò di calmarsi, era solo immaginazione, pensò.
Tornò a guardare la scatola gettata sul letto.
La guardò meglio: era una comunissima scatola di latta.
La sua forma ricordava un misto fra i contenitori dei biscotti delle nonne e un piccolo scrigno.
Rosata come un tramonto, con piccoli disegni colorati che ricordavano a volte piccoli fiori a volte cuoricini.
Da piccola la chiamava “la scatola delle sorprese”: ci nascondeva di tutto, spesso si dimenticava addirittura del contenuto, mentre la mamma e la nonna le lasciavano all’interno piccole sorprese, pietre colorate, caramelle o piccoli monili.
La sfiorò ancora, appena un poco, e un dolce brivido la pervase, un’emozione profonda di gioia come nel giorno che Aldo le confessava di amarla teneramente da tempo.
Era il suo passato, dolce e sofferente, racchiudeva le abitudini quotidiane, il profumo di viole, il dolore di sua madre, i primi amori.
Non aveva sbagliato a voler riordinare quella stanza, perché era un po’ come riordinare la sua vita.
Un tempo che non riusciva a dimenticare e non riusciva a ricostruire.
Le serviva un legame che diventasse presente e futuro, la sua vita racchiusa in una scatola che non la rendeva prigioniera, ma partecipe di sentimenti contrapposti che non accettava.
La figlia Paoletta girava per casa con shorts cortissimi e una camicia dal taglio maschile.
Non le era mai piaciuto quell’abbigliamento, ma stavolta sorrise e non disse nulla.
Appoggiò la scatola sopra la mensola, dava un tocco “antico”alla cucina.
«Carina…ma è vuota!» esclamò Paoletta, rigirandola tra le mani.
«Non è vuota. C’è tutto il mio mondo lì dentro, quello che ora non c’è più.» stava per replicare Lavinia tutto d’un fiato. Ma non lo fece e si limitò ad un piccolo sorriso.
«Mamma, allora, posso prenderla io? Ci metto tutte le mie “gioie”» concluse la ragazza.
Lavinia conosceva bene le “gioie” della figlia quindicenne, bracciali di cuoio e metallo e ritagli di riviste con artisti rap e rock.
«Si, certo» rispose con un filo di voce.
Infondo, lì le sue gioie c’erano già state!
Daniela Balestrero (Torino, Itália, 1960). Membro del Comitato editoriale della Rivista Philos. Dal 2015 collabora con un giornale locale web scrivendo articoli di spettacolo e attualità. Alcuni dei suoi scritti si possono trovare anche su il Blog di Ramingo.it.
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