L’autunno tentava di farsi strada in sordina, macchiando di giallo e rossiccio i primi alberi, timido e mite, per non far scordare così in fretta la calda estate appena trascorsa.
Qualche goccia di pioggia quà e là, non più da vero temporale e non ancora leggera e coprente come un umido velo.
Il piccolo Sergio, guardava triste fuori dalla finestra: il cielo era cupo, sembrava minacciasse pioggia e, l’ultimo pic-nic della stagione, promesso dalla mamma, sarebbe sfumato.
Il suo nasino schiacciato contro il vetro, le piccole dita che tentavano a fatica di rimanere incrociate dietro alla schiena.
E guarda guarda….il vento soffiava via le nuvole che si muovono veloci e lasciano intravedere uno squarcio d’azzurro.
«Mamma!! Mamma, il sole!!» gridò all’improvviso Sergio, correndo verso la donna..
Annalisa, con il piccolo in braccio, si diresse alla finestra: e sì! Constatò che il tempo stava migliorando ed era meglio approfittare del resto della giornata e concedersi quest’ultimo pic-nic.
Poco lontano, c’era un boschetto di faggi con una piccola radura che faceva proprio al caso loro.
Annalisa e Sergio allargarono il loro plait e sparsero un po’ dappertutto il vassoio delle torte dolci e salate, i panini e le bibite, un pallone, un aquilone e giocattoli vari, completavano il tutto, anche se poi Sergio lasciava tutto lì sull’erba per andare a guardare “le punte degli alberi”.
Sergio aveva appena sette anni, ma era profondamente affascinato dalla Natura ed in particolar modo dagli alberi: ne toccava la corteccia, grigia e liscia, quasi ad accarezzarla; distingueva le varie forme delle foglie anche se ancora non ne conosceva il nome e le caratteristiche.
Il profumo del legno e della resina, poi, erano la sua passione.
Arrivato alla radura, si diresse con passo deciso verso il boschetto di faggi.
Sergio camminava tra gli alberi col naso all’insù: “ com’era bello vedere pezzettini di un chiaro cielo azzurro e i rami dalle foglie ovali e scure!”.
«Attento! Così sbatterai il naso contro il mio tronco!»
Il bambino si bloccò di colpo: ma chi aveva parlato?
Intorno non c’era nessuno e la mamma era qualche metro più in là, intenta a tagliare una fetta di torta di mele.
«Dico a te, Bambino, è pericoloso camminare così…ma ti capisco, sai…É troppo bello lassù per non guardarlo!»
«Chi sei? Perchè non ti vedo?…» chiese timidamente Sergio.
«Certo che mi vedi, sono davanti a te…Scusa ..non mi sono presentato.
Sono Jco, il faggio più ad Est del bosco.
E tu, bimbo, come ti chiami?»
«Un albero che parla? Non è possibile, la mamma me lo avrebbe detto…» sussurrò appena.
Scrollò leggermente la testa da una parte all’altra, forse se lo era immaginato, ma era più forte di lui e con la voce più alta rispose: « Io mi chiamo Sergio e non conosco nessun albero che parla; sono venuto qui altre volte , ma non ti ho mai sentito.»
«Lo so – rispose Jco – ti osservo da parecchio tempo, a volte persino ti aspetto, e sono felice sai, quando sfiori la mia corteccia: sei gentile, delicato. Non come quel gruppo di monelli che a volte viene a giocare a nascondino nel bosco, tira calci, graffia i tronchi e pesta con violenza le radici.
Tu sei diverso, così ho deciso di conoscerti meglio e se vuoi posso raccontarti qualcosa di me.»
Sergio, non stava più nella pelle, voleva sapere qualsiasi cosa…e qualsiasi cosa sarebbe stata importante per lui.
«Mamma!…» No, meglio di no. Glielo avrebbe detto dopo.
Adesso doveva ascoltare.
Si sedette ai piedi dell’Albero.
«Devi sapere che..– incominciò Jco –…quando sono arrivato qua, tanto tempo fa ero una pianta giovane e piuttosto esile, anche se la mia origine è molto, molto antica a tal punto da considerarmi un albero sacro e a raccontare di me in lontane leggende…»
Sergio era estasiato, seduto sull’erba con le braccia racchiudeva le ginocchia leggermente piegate, la bocca e gli occhi lasciavano intravedere tutto il suo stupire e la curiosità che lo dominava.
«Ho visto passare tante stagioni – continuò – autunni miti e rossastri, inverni freddi, durante i quali mi ricopro di neve.
Profumate primavere e caldi estati..
L’amico vento mi racconta notizie lontane e a volte mi fa rabbrividire ma, il cinquettio degli uccelli è una compagnia armoniosa di cui non potrei proprio fare senza…
In cambio, offro loro riparo tra le fronde più fitte e i miei semi come cibo agli animali del bosco.»
«Ma non hai paura di tutto questo silenzio intorno?
Di essere solo?» tentò di chiedere Sergio all’albero come fosse l’amico ed il compagno di tutti i giorni.
«Ma scherzi!, No,davvero!
La solitudine è una delle mie caratteristiche, pare addirittura che io possa donare serenità e pace a chi mi sta vicino, a chi mi vuole bene e mi comprende, proprio come fai tu…
Ormai sono vecchio e già fortunato di ciò, non so quanto tempo ancora resterò in questo bosco, prima che passi un taglialegna mi trasporti in una fabbrica….e mi trasformi in tante tavole lisce e levigate.
Produco un legno pregiato dai riflessi dorati e molto ricercati, almeno così dicono, verrò trasformato in qualche mobile o salperò per i mari come parte di qualche nave…»
Jco, abbassò le foglie, mestamente, la sua corteccia parve brillare di ninfa, vide che Sergio si era addormentato: « Non avrà sentito le mie ultime frasi…meglio così.» pensò, « almeno non sarà triste domani, quando troverà al mio posto un’altro esile e giovane faggio dalle radici fragili ma profonde come la nostra Amicizia».
«Sergio! Sergio!» chiamò a gran voce la mamma guardando in giro.
Eccolo là, rannicchiato sotto un albero che dorme con gli occhi chiusi ed un sorriso brillante.
«Chissà cosa s’inventerà di raccontarmi, stavolta….» pensò Annalisa con un sospiro, mentre prendeva suo figlio fra le braccia.


Daniela Balestrero (Torino, Itália, 1960). Membro del Comitato editoriale della Rivista Philos. Dal 2015 collabora con un giornale locale web scrivendo articoli di spettacolo e attualità. Alcuni dei suoi scritti si possono trovare anche su il Blog di Ramingo.it.

Publicado por:Philos

A revista das latinidades

2 comentários sobre “Quando l’amicizia colora di verde, da Daniela Balestrero

O que você achou dessa leitura?